allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Da quasi due anni ho ripreso l’attività di dj limitandola al sabato. Nel celebre Atrium Bar del Four Seasons Firenze, durante i mesi invernali. Presso la piscina verde smeraldo, durante i mesi estivi.
Ovviamente, accade che la sala sia piena di vita. Persone che sorridono, si divertono, mostrano segni di consenso. Sono momenti in cui sale il ritmo, e spesso anche il volume.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Come può il singolo ospite avere potere decisionale sulla maggioranza?
Da quasi due anni ho ripreso l’attività di dj limitandola al sabato. Nel celebre Atrium Bar del Four Seasons Firenze, durante i mesi invernali. Presso la piscina verde smeraldo, durante i mesi estivi.
Ovviamente, accade che la sala sia piena di vita. Persone che sorridono, si divertono, mostrano segni di consenso. Sono momenti in cui sale il ritmo, e spesso anche il volume.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
Una sola persona può interrompere l’atmosfera di una sala piena
Come può il singolo ospite avere potere decisionale sulla maggioranza?
Da quasi due anni ho ripreso l’attività di dj limitandola al sabato. Nel celebre Atrium Bar del Four Seasons Firenze, durante i mesi invernali. Presso la piscina verde smeraldo, durante i mesi estivi.
Ovviamente, accade che la sala sia piena di vita. Persone che sorridono, si divertono, mostrano segni di consenso. Sono momenti in cui sale il ritmo, e spesso anche il volume.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
(Basato su una storia vera).
Una sola persona può interrompere l’atmosfera di una sala piena
Come può il singolo ospite avere potere decisionale sulla maggioranza?
Da quasi due anni ho ripreso l’attività di dj limitandola al sabato. Nel celebre Atrium Bar del Four Seasons Firenze, durante i mesi invernali. Presso la piscina verde smeraldo, durante i mesi estivi.
Ovviamente, accade che la sala sia piena di vita. Persone che sorridono, si divertono, mostrano segni di consenso. Sono momenti in cui sale il ritmo, e spesso anche il volume.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.
(Basato su una storia vera).
Una sola persona può interrompere l’atmosfera di una sala piena
Come può il singolo ospite avere potere decisionale sulla maggioranza?
Da quasi due anni ho ripreso l’attività di dj limitandola al sabato. Nel celebre Atrium Bar del Four Seasons Firenze, durante i mesi invernali. Presso la piscina verde smeraldo, durante i mesi estivi.
Ovviamente, accade che la sala sia piena di vita. Persone che sorridono, si divertono, mostrano segni di consenso. Sono momenti in cui sale il ritmo, e spesso anche il volume.
Finché nel bel mezzo della serata una persona, una sola, unica in tutta la sala, chiede di abbassare il volume o di cambiare genere.
Non si può dire di no ad un ospite. Almeno, o specialmente, su richieste del genere.
Perché questa è la politica del brand. A pensarci bene, è una norma di rispetto, attenzione, cura verso l’altra persona – anche una sola.
Questi eventi sporadici mi hanno fatto riflettere molto su che cosa può capitare anche durante il giorno, e non soltanto durante un dj set del sabato sera. Perché se durante il dj set posso intervenire in tempo reale, questo non accade nel resto della settimana.
E se una lamentela arriva durante il giorno, nei confronti della musica diffusa, e non quando c’è un dj presente? Come si può impedire, o meglio, prevenire?
Come possiamo evitare che qualcuno si lamenti della musica?
La domanda da porsi è:
qual è la funzione della musica in quello specifico contesto durante il giorno?
In quasi tutti gli ambienti e momenti degli hotel cinque stelle dove seleziono la musica, la funzione della playlist è quella di creare un fil rouge, un’invisibile cornice, che riunisca, nella percezione dell’ospite, tutti i diversi stimoli che creano quella particolare atmosfera.
La musica deve accompagnare. Rassicurare. Creare i presupposti per uno stato di benessere che va ben oltre il semplice ascolto.
Può essere ascoltata. Ma deve saper passare anche in secondo piano quando svolge la funzione di puro sottofondo.
È un mix alchemico di brani conosciuti e sconosciuti, un equilibrio che può condurci verso un ascolto attivo o verso uno passivo. Basta un brano fuori volume, e l’attenzione viene subito indirizzata verso l’ascolto. Così come basta un brano conosciuto, per farci canticchiare a mente il ritornello evocando una sensazione positiva, oppure introdurci in un momento più raccolto, in un pensiero o in un’emozione, che durano un attimo.
E quindi, la musica deve piacere o deve non dispiacere?
Come ci ricorda l’antropologo Leonardo Menegola:
“il piacere, per l’individuo adulto, consiste pressoché sempre nel ritorno a categorie e sensazioni già note”.
E la musica lo conferma.
Se l’obiettivo è che la musica sia gradita e piaccia, tendenzialmente si dovrà ricorrere a brani conosciuti e di impatto positivo sui gusti di un particolare target, correndo il rischio che ci sia sempre qualcuno a cui non piace.
Aumentano le possibilità di apprezzamento, e con esse il rischio di una lamentela.
Beatles o Rolling Stones? Rock o jazz? Mina o Vanoni?
La ricerca di un consenso esplicito sulla musica è ricerca di un ascolto attivo, e quindi di un ascolto individuale ‘ridestato’ da brani noti:
Questo comporta la probabilità che qualcuno chieda di cambiare brano, artista, genere, o volume.
Una ‘musica che piace porta un professionista a prevedere che a qualcuno… non piacerà’.
Quel qualcuno, probabilmente, esternerà la sua insoddisfazione. E tu a quel punto saprai già, con esperienza e consapevolezza, come gestire quel malcontento.
In altri articoli precedenti abbiamo analizzato come, in alcuni contesti come cene gourmet o trattamenti di benessere, sia sempre preferibile musica sconosciuta e priva di riferimenti attivi e mnemonici.
Si tratta di musica che deve abbellire l’aria, cucire gli spazi, accompagnare l’esperienza, sostituendo al silenzio un sottofondo gradevole e accogliente, ma senza distrarre.
Musica pensata per non porsi al centro dell’attenzione. Selezionata per non essere in primo piano. Non che la musica debba essere brutta. Anzi, capita che alcuni ospiti chiedano informazioni sul sottofondo musicale, esprimendo apprezzamento.
Ma quando la cura del dettaglio si fa sottile, quando un’esperienza di benessere va sostenuta con discrezione e tatto:
allora la musica d’ambiente non ha il fine ultimo di piacere, ma soprattutto quello di non dispiacere.